Decreto Dignità: a mesi dall’approvazione, proseguono le polemiche

Il Decreto Dignità è stato il primo provvedimento targato Luigi Di Maio da quando il Movimento 5 stelle è stato eletto dalla maggioranza degli italiani e salito al governo grazie al patto (o contratto) con la Lega di Matteo Salvini. Il 7 agosto la legge è stata votata e approvata dal Senato, ben 155 favorevoli contro 125 contrari e un astenuto, l’11 agosto la Gazzetta Ufficiale riportava tutto il provvedimento tecnicamente conosciuto come Legge 96/2018.

Le finalità del Decreto

La misura prevede, in estrema sintesi, la riduzione degli anni di contratto e possibili proroghe per i contratti a tempo determinato, semplificazione fiscale con l’annullamento dello spesometro, contrasto alle delocalizzazioni, aumento del 50% dell’indennizzo per i lavoratori ingiustamente licenziati e infine lo stop alla pubblicità per il gioco d’azzardo.

L’articolo 9

Nel Decreto Dignità è segnato come articolo 9: il suo fine ultimo è il contrasto al gioco compulsivo, alla ludopatia e certamente lo scopo è nobile e non contestabile, le statistiche sui minori che giocano d’azzardo lo rendono addirittura necessario e urgente. Gli addetti ai lavori però hanno una conoscenza più complessiva del settore e lamentano la natura “spot” di questo articolo, una sorta di pubblicità elettorale che non tiene conto della complessità e della situazione del settore. Ma in effetti cosa prevede la legge?

Il Decreto Dignità in 5 punti

Il Dl voluto fortemente dal vicepremier e ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio prevede:
• il divieto di qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi e scommesse. Per i contratti stipulati prima del 14 luglio 2018, giorno di entrata in vigore della legge, varrà la norma previgente entro la scadenza degli stessi (comunque non oltre un anno);
• sensibile innalzamento della misura del PREU (prelievo erariale unico) sugli apparecchi;
• installazione del lettore per la tessera sanitaria sulle slot entro il 1° gennaio 2020;
• introduzione della locuzione “disturbo da gioco d’azzardo” in luogo di “ludopatia” e simili;
• saranno vietate tutte le sponsorizzazioni per il gioco d’azzardo ma non ci sarà la proroga per un anno, tutti i contratti cesseranno la loro validità dal 1° gennaio 2019.
• riguardo a pubblicità e sponsorizzazioni la violazione della norma comporterà una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 20% dell’accordo commerciale, comunque non inferiore a 50 mila euro.

Le critiche al Decreto

Una pletora di critiche è piovuta sul governo da parte dei diretti interessati, dalle società sportive ai piccoli esercenti. Il gioco d’azzardo italiano ha un suo peso specifico non da poco: un flusso di gioco da quasi 100 miliardi, in continua espansione, che genera un gettito erariale garantito allo Stato di circa 9,5 miliardi di euro. Secondo alcuni dati forniti dal prof. Marco Spallone (CASMEF LUISS) il settore da occupazione a 150.000 addetti e 6.000 imprese. Dalle stime dell’anno corrente vediamo che questi numeri tendono all’aumento.

Le proposte del SGI

Il prof. Spallone ha presentato i dati in suo possesso nell’ambito di un’assemblea pubblica tenutasi a Roma in luglio e organizzata da Sistema Gioco Italia, federazione di filiera dell’industria del gioco aderente a Confindustria. Durante la giornata sono stati stilati 10 punti per introdurre, e chiedere al governo, un’azione riformatrice di tutto il comparto. Volendo riassumere, le proposte del SGI cominciano da quella di un regolamento unico che normi la distanza delle sale gioco dai luoghi sensibili, il numero di slot che ogni attività può contenere (o non contenere come nel caso di locali sotto i 20 mq), la riqualificazione della filiera e un forte investimento sulla formazione degli operatori. Si è chiesto di uniformare la disciplina del prelievo erariale italiano a quello degli altri paesi europei (tassazione sul margine invece che sull’intero volume di raccolta), oltre a una riforma decisa di ippica e bingo.

Lo sport italiano vuole maggior considerazione

Chi vedrà cadere subito la mannaia del decreto sui propri introiti sono le società sportive professionistiche che hanno stretto rapporti commerciali con i bookmaker, che da anni arricchiscono i rispettivi palinsesti con ogni tipo di pronostico sportivo possibile. Come spiegato prima i contratti di sponsorizzazione cesseranno con l’avvento del nuovo anno, in pratica le squadre saranno costrette a rescindere i contratti prima di quella data, ma alcuni di questi sono già stati ritirati in rispetto al decreto.

Se guardiamo alla sola serie A, ben 11 formazioni su 20 hanno un “betting partner”: Juventus, Milan, Roma, Napoli, Inter, Cagliari, Genoa, Lazio, Sampdoria, Torino e Udinese. Proprio nei giorni dell’entrata in vigore del Decreto Dignità è stato recapitato al Governo un comunicato congiunto redatto dai vertici delle principali leghe italiane (Lega Serie A, Lega Serie B, Lega Basket e Lega Pallavolo Serie A Maschile e Femminile), le quali non possono che dirsi concordi sulle finalità del provvedimento, pur auspicando un maggiore confronto:
“In merito alla conversione in legge del decreto n.87 del 2018 (c.d. Decreto Dignità), Lega Serie A, Lega Serie B, Lega Basket e Lega Pallavolo Serie A Maschile e Femminile esprimono unanimemente la propria preoccupazione sull’impatto che il divieto di pubblicità e sponsorizzazioni per giochi e scommesse con vincite in denaro avrà sulle risorse dello sport italiano, professionistico e amatoriale e chiedono di essere coinvolti nel processo di riordino del settore del gioco d’azzardo”.

Punti d’incontro

Sicuramente il decreto, e più in generale questo governo, gode di un buon placet popolare in virtù di una sorta di distanza presa dal passato, nella fattispecie dell’articolo 9 è in effetti impossibile dirsi contro al contrasto del gioco compulsivo. Ciò nonostante le misure finora prese risultano troppo poco incisive per rilanciare il settore, invece di limitarsi a mortificarlo con il veto sulla pubblicità.

È vero che parliamo di un giro d’affari impressionante che non diminuirà entro i prossimi 5 anni (almeno secondo le previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze) ma è altresì vero che l’industria del gioco è composta da un humus di piccole ricevitorie e locali costrette a vedere pesantemente intaccato il proprio business, per via di leggi comunali che ne costringono la posizione sul tessuto urbano e gli orari di apertura. Tornando alle squadre non ci sono solo le grandi della serie A, che difficilmente accuseranno una banca rotta per un contratto da 20 milioni di euro saltato, ma anche realtà più piccole, per le quali le somme persone rappresentavo una vera boccata d’ossigeno.

Insomma, al netto di tutto questo il governo dovrà quanto meno concedere l’apertura di un tavolo per cercare una posizione intermedia quanto prima possibile, anche se per il momento questa non sembra una reale priorità.